Cistite Interstiziale: la mia compagna di vita

Una patologia rara, di cui si parla poco, ma che colpisce molte donne

Ho vinto la mia battaglia il 26 giugno 2023, arrivando finalmente alla diagnosi. Quando è arrivato il certificato con la scritta “Cistite Interstiziale, ufficialmente riconosciuta” ero felice, e da quel giorno è iniziato un nuovo percorso, in cui ho scelto di sposare una nuova filosofia di vita: non fare in modo che ciò che senti prenda il controllo su di te.

Sono passati 10 anni dal primo sintomo, era il 2013 e io avevo 17 anni. Le prime cistiti, l’avere paura a fare una cosa semplice e naturale come andare in bagno, l’essere derisa e non capita dagli altri, i costanti dolori durante un rapporto.

I medici che mi hanno visitata sono stati numerosi come le non diagnosi, perché in apparenza ero e sono una donna in salute, che anatomicamente e in superficie non aveva problemi.

Per anni mi sono sentita dire che il problema era nella mia testa, che il mio era solo stress. Dopo 10 anni, ho scoperto che il problema esiste eccome, ed è dentro la mia vescica.

Prima ero una persona che stava semplicemente male ma senza saperne la causa, da quel giorno ho dato un nome a quella che sarebbe diventata la mia futura compagna di vita.

Come tutto iniziò

Le prime sembravano semplici cistiti. Anni di esami delle urine e urinocolture, sempre negative e nonostante questo si rispondeva con antibiotici.

I dolori sono aumentati con i primi rapporti sessuali. A diciassette, diciotto anni, pensi che sia normale provare dolore la prima volta, magari la seconda, la terza, ma quando il dolore lo senti ogni singola volta inizi a pensare, che forse hai un problema. Inizi a porti mille domande, mille dubbi. Non trovando risposta un pensiero fisso si impossessa di te: tu sei il problema. Inizi a metterti a confronto con le altre donne e inizi a chiederti cosa non va in te, se sei tu quella sbagliata.

Il sesso veniva associato ad una condizione di dolore, non riusciendo a vedere la bellezza che ci poteva essere dietro quell’atto. Essendo umana, il desiderio sessuale è insito dentro ognuno di noi, e io in quanto donna lo desideravo e lo desidero, ma per lungo tempo il dolore fisico mi ha fatto sentire meno donna.

Il mio corpo, lanciando numerosi segnali di allarme, diceva di fermarsi. Mi sentivo diversa e avevo paura di non essere capita. Era difficile spiegare cosa mi stesse accadendo. Temevo che le mie parole risuonassero come scuse agli occhi degli altri. Quindi smetti di parlare e di giustificarti. Decidi di utilizzare come meccanismo di difesa il silenzio.

Primi passi sbagliati verso la diagnosi

Il primo approccio al problema è stato ginecologico e le risposte erano sempre le stesse “sei ginecologicamente sana”, “il tuo utero sta bene, le tue ovaie idem". A fronte di queste risposte avrei dovuto convincermi che il tutto potesse ricondursi ad una forma di ansia da prestazione o di disagio. “Prova a cambiare partner e vedrai che andrà bene”; “tu non hai nulla”. Eppure io il dolore lo sentivo, anzi capivo che stava aumentando.

Se prima i dolori erano focalizzati ai rapporti, con il passare del tempo ogni volta che andavo in bagno iniziava l’inferno. Una cosa naturale come fare la pipì era diventata una vera e propria sofferenza. Quella costante sensazione di bruciore, che non smetteva mai, “aghi”, “pugnalate”.

I pianti ad ogni goccia, le unghie che affondano nei palmi delle mani per sopportare il dolore. Inizi a sperare di non dover più andare in bagno, ma l’urgenza diventa sempre più insistente e le tue giornate si trasformano piano piano in un loop dal quale non sai come uscire. Non riesci più a controllare il tuo corpo e ogni minima uscita fuori casa diventa complessa. Condurre attività normali come una cena fuori, andare a lavoro, fare un lungo viaggio in macchina, utilizzare un bagno pubblico diventano difficili.

Nel 2021 la problematica si intensifica e quelle che sembravano cistiti si trasformano in perdite ematiche, spaventata più volte mi dirigo al pronto soccorso, dove puntualmente vengo rispedita a casa perché non potevo occupare l’ospedale per una "banale cistite". Strano che la diagnosi fosse sempre la stessa quando l’urinocoltura non individuava batteri e il reparto di urologia non lo avevo minimamente sfiorato.

La svolta

Stanca dell’ennesimo viaggio a vuoto, a gennaio 2022 decido di cercare in autonomia un urologo/a a cui rivolgermi. Ho avuto la fortuna di interfacciarmi con la dottoressa Valentina Pecorari e grazie ad una cistoscopia urinaria con biopsie, a marzo 2023 arriviamo alla risposta: Cistite Interstiziale. Ammetto ho pianto, ma questa volta per un motivo diverso, ero felice.

Aspetti psicologici

Perché proprio a me? È una domanda che mi sono posta diverse volte sviluppando al tempo stesso un senso di colpa perché ho sempre pensato che lì fuori ci sono persone che vivono situazioni peggiori, quindi non sentivo di avere il diritto di lamentarmi. Credo però sia nella natura umana attraversare periodi di non accettazione, soprattutto quando si è giovani e non si conosce la materia.

Ad oggi, arrivata a 27 anni, sono grata di aver vissuto tutto questo. Il percorso di diagnosi ha permesso di conoscermi, analizzarmi e soprattutto di volermi bene. Di non permettere più a nessuno di dirmi cosa posso o non posso fare, di giudicarmi, di pensare che non sono abbastanza donna. Mi ha permesso di ascoltare il mio corpo riuscendolo a capire, comprendendo che merita rispetto, che io merito rispetto, in primis da me stessa. Mi ha insegnato ad amarmi e di conseguenza ad amare. Io non sono la mia malattia ma senza la mia malattia non sarei diventata quella che sono oggi.

Podcast

Io sono Lucrezia, non sono un medico, ma per necessità sono dovuta diventare la dottoressa personale di me stessa.

Questo è "Non sono la mia malattia"

Un podcast che vuole raccontare la storia di donne che hanno provato cos’è il dolore fisico legato a problematiche purtroppo ancora ad oggi poco trattate. Racconterò le nostre storie e interverranno esperti dando voce a patologie croniche femminili.

In questo episodio scopriamo cos'è la cistite interstiziale attraverso le parole della dottoressa Valentina Pecorari, urologa specializzata in urologia femminile, dolore pelvico cronico e riabilitazione del pavimento pelvico. Fondatrice di Urologia Femminile Padovana

Cos'è la Cistite Interstiziale e perché il suo nome andrebbe modificato

L’urologa Valentina Pecorari ci spiega che la Cistite Interstiziale (CI), precedentemente chiamata Cistalgia a urine chiare (cistite a urine chiare) o Ulcera di Hunner “si riferisce alla condizione di dolore pelvico, di una sensazione di vescica piena, di bruciore, di spasmo o di quella che viene indicata come una pugnalata, accompagnata da altri sintomi quali un aumento della frequenza diurna e notturna, in assenza d’infezioni urinarie conclamate ed altre patologie evidenti”. Si arriva alla sua scoperta in seguito all’individuazione di un “quadro cistoscopico che ha alcune caratteristiche visive e istologiche precise, come la presenza di mastociti nei tessuti vescicali”.

Su richiesta dell’International Continence Society (ICS) il termine Cistite Interstiziale è stato sostituito con Bladder Painful Syndrome (BPS) cioè Sindrome della Vescica Dolorosa.

L’intento è quello di evitare una situazione di confusione da parte dell’opinione pubblica e dei pazienti stessi, perché il termine “cistite” rimanda alla cistite batterica. L’infezione in questa patologia non c’entra e presenta sintomatologie e cure diverse. Purtroppo, nel panorama italiano si è ancora impostati sull’utilizzo del termine Cistite Interstiziale.

Come riconoscerla:

Mappa: Centri di riferimento specializzati sul territorio italiano a cui riferirsi per diagnosi e cure

Sintomatologia e numeri

Epidemiologia

I rapporti sulla prevalenza di BPS sono estremamente variegati, così come i criteri diagnostici e le popolazioni studiate. I rapporti recenti vanno dallo 0.06% al 30%. C'è una predominanza femminile di circa 10:1. Nessuna differenza nella razza o etnia. Può colpire qualunque classe d’età con un picco nella quarta decade.

Sintomi più diffusi

Zone dolenti maggiormente coinvolte

Malattia Rara: il ruolo dell'Associazione AICI

Nella storia di questa malattia un passo fondamentale è stato compiuto dall’AICI (Associazione Italiana Cistite Interstiziale), grazie alla quale si è arrivati alla firma del decreto 18 maggio 2001 n. 279, portando al riconoscimento di 284 malattie rare tra cui la cistite interstiziale.

L’associazione nasce nel 1995 in seguito all’incontro di un gruppo di persone che volevano trovare risposte ai loro sintomi o a quelli di alcuni loro affetti. Tra di loro troviamo Loredana Nasta, l’attuale presidentessa, che descrive il riconoscimento come “una pietra miliare per i pazienti perché ha dato una sorta di regolamento, con una serie di attenzioni come l’erogazione di terapie gratuite. Ha aiutato le persone che hanno subito un impatto negativo sul piano economico, essendo una malattia che porta spesso a stare a casa e non poter lavorare”.

Agli albori dell’associazione non si parlava ancora di CI, nessuno sapeva cosa fosse. Partono dal nulla, con l’unica idea di voler dare voce alle storie delle persone affette da questa problematica e trovare il modo per tutelarle.

Il primo passo è stato il confronto con quelle che erano le realtà esistenti all’epoca in materia di malattie rare, interpellando le associazioni storiche che si occupavano di sclerosi multipla e distrofia muscolare. Iniziano a collaborare con l’Istituto Mario Negri, il primo coordinamento di malattie rare presente in Italia e l’Istituto Superiore di Sanità. Il punto di svolta avviene durante un congresso a Firenze sulle malattie rare, che ha permesso la conoscenza di altre 6 associazioni con lo stesso obiettivo. Questo incontro ha portato alla fondazione della Federazione Italiana Malattia Rare.

Il lavoro dell’associazione consiste nel battersi affinché vengano rispettati i diritti dei pazienti, che spesso non sono nemmeno a conoscenza di quali siano. È qui che interviene AICI andando a contrastare ingiustizie e disuguaglianze, fornendo un’assistenza ai propri soci. Oltre ad occuparsi di redigere relazioni in accordo con il medico che predispone la terapia, svolgono una funzione di tutela legislativa e assistenza burocratica che prevede anche il rinnovo dei piani terapeutici. Mirano al riconoscimento della malattia anche in ambito di invalidità civile, i cui criteri di assegnazione sono fermi al 1991. Come ricorda la dottoressa Nasta “La CI corrisponde ad una percentuale di invalidità in base alla gravità del quadro clinico, e alla presenza delle altre patologie correlate che si manifestano, in quanto Il 78/79% dei pazienti sviluppa anche sindrome della stanchezza cronica, fibromialgia, sindrome dell’intestino irritabile, endometriosi e intolleranze alimentari tra sensibilità al glutine e al lattosio”.

AICI ha un impatto a livello globale collaborando con ESSIC (International Society for the Study of BPS) il cui presidente, il Professor Mauro Cervigni, medico chirurgo in urologia e ginecologia spiega come questa Società svolga un costante studio della patologia e punti alla ricerca di nuove cure. I massimi esperti di ESSIC si sono occupati della stesura delle linee guida comprendenti la parte diagnostica e le relative terapie che verranno presentate al Congresso Internazionale che si terrà a Kyoto ad agosto.   

Le ricerche hanno portato all’individuazione di due tipi di cistite, nuove terapie che prevedono l’utilizzo non solo della tradizionale medicina ma anche di alcune sostanze presenti in natura come l’estratto vegetale di aloe vera, e terapie sul microcircolo della parete vescicale. Il dottor Mauro Cervigni rassicura “la ricerca non si fermerà, essendo un argomento di interesse internazionale”.

AICI collabora anche con ERN (european reference networks for rare diseases), ossia la rete di riferimento per le malattie rare fondata dalla Commissione Europea. Al suo interno è presente un rappresentante dei pazienti di tutta Europa perché come sottolinea Loredana Nasta “oggi il paziente esperto ha un ruolo cruciale in qualsiasi ambito, sia in merito al clinical trial, alle scelte terapeutiche e ai progetti da realizzare”.

L’associazione si fa conoscere attraverso campagne di sensibilizzazione, informazione e congressi in cui si vede la presenza anche dei soci. La dottoressa Nasta racconta gli obbiettivi raggiunti e futuri per l’associazione, ad esempio come rendere i soci più attivi, creando un senso di appartenenza durante gli eventi, ovvero “si deve puntare ad essere generosi nel voler offrire la propria esperienza per gli altri”.

I medici esperti sono rarissimi e per sopperire a questa mancanza l’Europa è intervenuta nel 2004 con l’obiettivo di individuare effettivamente quali fossero gli esperti nei vari paesi della Comunità Europea. È stata creata un’assistenza transfrontaliera che prevede il trasferimento rimborsato di un paziente da un paese all'altro nel caso in quello di residenza non fossero presenti medici specializzati. Il traguardo successivo è stato creare una rete di informazioni perché “le conoscenze e le competenze viaggiassero in modo che tutti i centri di riferimento avessero la stessa qualità di alta specializzazione”, arrivando a delle consultazioni online senza che il paziente si spostasse. Lo stesso dottor Mauro Cervigni indica come scopo principale il “diffondere informazioni precise ed educare il personale medico di ogni centro di riferimento”.

AICI continua a battersi inoltre all’eliminazione del divario che esiste tra Stato e Regioni in termini di assistenza. Nel 2001, stesso anno in cui è stato approvato il decreto, si è passati da un sistema centrale che decideva il budget destinato alla patologia per tutto il paese al conferire autonomia alle Regioni in materia; quindi, ogni Regione poteva essere autonoma con un budget economico diverso. Per tamponare questa frammentazione è intervenuta la Conferenza Stato-Regioni, controllando che quest'ultime seguano gli stessi criteri, garantendo una stessa qualità di assistenza in tutta Italia.

Nel 2002 è stato istituito un PDTA (protocollo diagnostico terapeutico assistenziale personalizzato) in quanto ogni malattia rara ha bisogno di terapie diverse e diverse dalle patologie più comuni, andando ad includere anche gli integratori alimentari.

Attualmente l’associazione è una onlus che conta 800 soci e 7 persone che si occupano della direzione interna. Il fine primario era il riconoscimento, ma l’associazione non si ferma e come dice la dottoressa Nasta “il Viaggio è in salita e ancora ad oggi non siamo in cima alla vetta, ma speriamo di arrivare un giorno ad avere tutto in discesa”. 

Le vostre storie

video-interviste

Iter Diagnostico

Una persona affetta da CI/BPS impiega una media di 5/7 anni dopo aver consultato almeno 7/10 specialisti tra ginecologi ed urologi prima di arrivare ad una diagnosi. Secondo l'urologa Valentina Pecorari "per diagnosticarla il segreto sta nell’ascoltare il paziente e studiare la sua anamnesi". Quindi la diagnosi della patologia è ancora, essenzialmente, un percorso di esclusione che chiede conferma dalla storia del paziente. Inoltre “deve essere eseguita una cistoscopia con biopsia” che prevede una distensione della vescica per visionare le pareti interne grazie all’utilizzo di un cistoscopio, alla cui estremità è posta una piccola telecamera.

La procedura a seconda dei casi può essere condotta ambulatorialmente applicando al paziente un gel anestetizzante locale. Per effettuare le biopsie (prelievi di tessuto da analizzare), il paziente viene portato in sala operatoria e sottoposto ad anestesia lombare o totale a seconda della sua storia clinica. In seguito all’esecuzione delle biopsie al paziente verrà inserito un catetere vescicale per poi riprendere la normale minzione tendenzialmente a partire dal giorno dopo.

"Per diagnosticarla il segreto sta nell’ascoltare il paziente e studiare la sua anamnesi"
Valentina Pecorari, urologa

Cure e tipi di trattamenti per la sopportazione del dolore

Attualmente non sono presenti cure definitive ma esistono diversi tipi di azioni per tollerare bene il dolore e condurre una vita quasi normale. I vari approcci alla malattia viaggiano di pari passo per consentire un perfetto connubio tra nutrizione, integrazione e farmaci. La dottoressa Valentina Pecorari ci invita a riflettere sul fatto che “la raccomandazione della Società Internazionale Della Continenza è di combinare tecniche multimodali, comportamentali, fisiche e psicologiche a fianco di trattamenti orali o più invasivi”. Questo perché "le strategie mono-terapeutiche per il trattamento della BPS possono fallire”. Ci indica inoltre i vari tipi di terapie a cui si può ricorrere.

Tra le varie sostanze che vengono utilizzate troviamo “la Pea, che ha una particolare funzione antinfiammatoria e neuroprotettiva, impedendo la degranulazione dei mastociti. Anche gli estratti di polline e quercitina sono di ausilio per la loro attività antinfiammatoria e antidolorifica. Grazie all’Acido jaluronico e al condroitin solfato si agisce sulla ricostruzione dello strato dei glicosaminoglicani (GAG) vescicali che costituiscono i tessuti della parete vescicale”. Queste sostanze possono essere prese per bocca o instillate in vescica, eseguendo le cosiddette terapie localizzate. I trattamenti intravescicali prevedono “l’introduzione delle sostanze attraverso catetere direttamente in vescica”. 

Non è possibile rinunciare ad una terapia prettamente farmacologica. “Vengono utilizzati alcuni farmaci che agiscono sulla muscolatura del pavimento pelvico e della vescica, andando a modulare i nervi, altri che innalzano la soglia del dolore mentre si effettuano le diverse terapie”. Tutti i farmaci impiegati non nascono con la specifica indicazione di trattare la Cistite Interstiziale, ma vengono in qualche modo “rubati” alle altre patologie. Si scelgono miorilassanti, utilizzati come stabilizzanti dei nervi nell’epilessia, e antidepressivi, indicati nel trattamento di depressioni. “Vengono usati in questo tipo di patologia perché vanno ad agire sul sistema nervoso, nel dettaglio lavorano nei nervi periferici e non perché vanno a curare un disturbo psichiatrico” infatti anche le dosi utilizzate sono nettamente diverse.

"Nei casi di iperattività del muscolo della vescica si può utilizzare la tossina botulinica per rilassare le fibre muscolari”. Anche l’agopuntura può essere presa in considerazione, in quanto “ha mostrato un miglioramento duraturo a 24 settimane”.

Attualmente “Si può agire direttamente a livello dei nervi del midollo per contrastare gli stimoli dolorosi con la neuro modulazione sacrale”, ed è in via di sperimentazione “una tecnica che andrebbe ad utilizzare gli anticorpi monoclonali per inibire il fattore di crescita a livello nervoso”.

L’importanza di una diagnosi precoce si basa sul presupposto che “nei casi più estremi è prevista la cistectomia”, quindi la tempestività è fondamentale per evitare di dover incorrere in pratiche invalidanti e definitive.

Esiste anche una terapia fisica, basata sulla riabilitazione del pavimento pelvico con le Tens e bio feedback attraverso appositi macchinari. “La stimolazione elettrica nervosa transcutanea (Tens) è una tecnica antalgica che serve a resettare i nervi quando sono in perenne stato di allarme invece la tecnica di riabilitazione chiamata biofeedback è utile per imparare come rilassare i muscoli quando inizia il dolore, introducendo una sonda vaginale collegata ad un computer che attraverso dei grafici segna la capacità di movimento del muscolo vaginale". Con questa attività, il cerchio del dolore-spasmo-dolore può essere interrotto. "Nel caso di muscoli accorciati, il rilassamento non è sufficiente, ma serve lo stretching del muscolo per riacquistarne la lunghezza e la funzione”.

Associata alla giusta terapia, una dieta mirata, che elimina i cibi che creano disturbi può dare giovamento.

Arte e malattia: fotogallery

Dalla sensazione di dolore alla rinascita post diagnosi attraverso la fotografia

Fase 1: Comparsa dei primi sintomi

Non capisci da cosa dipendono, qualcosa inizia a cambiare dentro di te come le onde del mare d’inverno iniziano a crescere. Spiaggia oasi WWF "Macchiagrande" (Fregene-Roma)

credit: Lucrezia Frizziero

Fase 2: il dolore aumenta

La sensazione di sofferenza prende il controllo su di te, sei al buio e non sai come illuminare le tue giornate, perso come nel labirinto di una foresta.

Orto Botanico. Mostra "Trame di luce" (Roma)

credit: Lucrezia Frizziero

Fase 3: Parole a vuoto

Non ti senti capita quindi inizi a vivere imprigionata nelle tue domande senza risposta, come la casa costruita "per un perché" ma lasciata al deteriorarsi della natura.

La casa albero dell'architetto Giuseppe Perugini (Fregene-Roma)

credit: Lucrezia Frizziero

Fase 4: Diagnosi

Dopo un lungo cammino finalmente vedi la luce. Ora si apre per per te un nuovo percorso fatto di consapevolezza e di determinazione: percorri la tua strada senza fare di te un sintomo.

Via delle Pagliette (Maccarese-Roma)

credit: Lucrezia Frizziero

Fase 5: Serenità

Trasformi il tuo problema in una parte di te. La tua patologia è la tua compagna di vita, falle posto e lei ti renderà migliore. Grazie a questa presa di coscienza tornerai ad essere serena e felice.

Oasi "Le dune" (Passoscuro-Roma)

credit: Lucrezia Frizziero

Fisioterapia, Osteopatia, Respirazione, Yoga: mondi essenziali

Un approccio multidisciplinare è l’obiettivo che si deve raggiungere per il trattamento di questa patologia. L’osteopatia e la fisioterapia rientrano tra gli aspetti che non possono essere trascurati per il raggiungimento di una migliore qualità di vita.

La fisioterapista e osteopata Cristina Bernard ha compreso la potenza della multidisciplinarità, partendo dal presupposto che “noi non siamo un organo ma un insieme, e ogni sintomo trova ragione d’esistere perché c’è una storia della persona dietro al sintomo da raccontare”. Di questo mantra ne ha fatto la base del suo lavoro, arrivando a fondare nel 2008 Omya Studio, un centro specializzato nel trattamento di donne con disfunzioni del pavimento pelvico con sede a Roma. Ampliandosi poi con Omya per la Vulvodinia.

All’interno del centro si è creta una cooperazione medica per seguire al meglio le pazienti tra una nutrizionista, una psicologa, una psicoterapeuta e consulente sessuale, una ginecologa, un’urologa e un’esperta di patologie vulvari. La dottoressa per farci entrare nel suo mondo ci riferisce che “l’osteopatia riguarda la struttura e la funzione in un’ottica globale della persona, la fisioterapia invece, entra nello specifico per lavorare nella zona dolente, in questo caso l’area anatomica vulvare, analizzando la situazione muscolare, valutando se sono presenti ipertono o contratture”.

muscoli del nostro corpo conservano una memoria, quindi anche la sofferenza provata. In questo senso, andare a lavorare sul muscolo, alleggerendolo, è fondamentale per dare “respiro” alla zona dove prevale il sintomo. “Molto spesso ci sono delle tensioni anomale proprio sul sistema sospensorio fasciale all’interno del grande catino che è il bacino; quindi, l’osteopatia va a liberare queste tensioni”.

Le pazienti con disfunzioni al pavimento pelvico, tra cui la Cistite Interstiziale, tendono ad avere una respirazione molto alta. “Si è notato che una rieducazione respiratoria per imparare a respirare dal basso, quindi con la pancia, contribuisce a dare sollievo alla zona dolente”. Per poter raggiungere una piena autonomia nei confronti della patologia, la donna deve diventare responsabile del proprio corpo e del proprio stato di salute, modificando gli stili di vita che possono peggiorare la condizione medica. Lo Yoga, specifico per la zona pelvica, può renderci consapevoli delle funzioni del nostro corpo.

“Non siamo un organo ma un insieme, e ogni sintomo trova ragione d’esistere perché c’è una storia della persona dietro al sintomo da raccontare”
Cristina Bernard, fisioterapista e osteopata
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Ostetricia: alla scoperta di una disciplina sottovalutata

Storia di Associazione Selene, 4 giovani ostetriche stanche di limitare le loro conoscenze

Beatrice PapiscaCaterina CamilliFederica Cocuzzioli e Giulia Ariani, sono quattro ragazze accomunate da un percorso di studi. Si formano alla Sapienza di Roma come ostetriche. Dopo una serie di esperienze personali, tra cui una parentesi di due di loro come volontarie in Africa, decidono che la limitata manovra di azione che avrebbero avuto in un contesto ospedaliero; quindi, finalizzata alla gravidanza e al parto, non faceva al caso loro.

Associazione Selene è uno spazio ostetrico che nasce come risposta al desiderio di fare di più. Si specializzano attraverso corsi post-laurea privati, riguardanti le problematiche del pavimento pelvico e la sua riabilitazione. Successivamente approfondiscono la grande tematica della sessualità lanciando un messaggio di “sex positive”, mirato all’abbandono della tradizionale educazione sessuale, basata solamente sulla contraccezione, ma allargando il focus. L'ostetrica Caterina Camilli ci spiega i punti cardine della loro missione, partendo dal preseupposto che “il corpo può essere visto come una sorta di caccia al tesoro delle zone erogene che possono essere anche molto distanti dalla zona dei genitali”.

Iniziano a trattare donne con le più disparate disfunzioni pelviche, tra cui la CI. Il loro principale  obiettivo è fare prevenzione, “l’unica cosa che si può fare per ridurre il ritardo diagnostico è dare alle persone gli strumenti per poter riconoscere la patologia”.

Le loro visite puntano a dare più informazioni possibili per far capire alla paziente come è fatta dentro, a livello anatomico. Andando a comunicare ogni manovra si evita qualsiasi forma di possibile violenza ostetrica o ginecologica. La donna deve essere consapevole di cosa accade durante la visita, deve dare il permesso, e soprattutto non la deve vivere come un trauma. La non comunicazione potrebbe generale il rischio di allontanare la paziente dal percorso terapeutico, invece, “la persona dovrebbe essere invogliata in modo positivo ad entrare all’interno del percorso, che non è della patologia né del medico ma della persona”.

Cosa prevede un percorso di riabilitazione del pavimento pelvico?

Ce lo spiega Caterina Camilli, ostetrica di Associazione Selene.

Riabilitazione pelvica alternativa:

Associato ai macchinari esiste un altro approccio al trattamento del dolore pelvico, attraverso l’utilizzo di sex toys come strumento terapeutico. Viene consigliato alle pazienti quello più adatto a seconda della loro problematica. Caterina Camilli ritiene che "la vibrazione che producono è utile alla tensione dei muscoli e aiuta ad entrare in confidenza con quella che è la percezione del proprio pavimento pelvico e delle proprie sensazioni interne”. Normalmente per allenare la muscolatura e conferirle elasticità vengono prescritti i “tradizionali dilatatori vaginali”, che potrebbero però inibire la pratica. Rendere divertente e stimolante la situazione può giovare anche a livello psicologico nel voler introdurre questo tipo di approccio.

“Il corpo può essere visto come una sorta di caccia al tesoro delle zone erogene che possono essere anche molto distanti dalla zona dei genitali”
Caterina Camilli, ostetrica

Risvolti psicologici, sociali e lavorativi

Si tratta di un dolore la cui insorgenza è precoce. I primi sintomi iniziano quando le ragazze sono ancora molto giovani ed è lì che viene minato un aspetto fondamentale nella crescita personale di un individuo, “l’incontro con l’altro”. Francesca Fulceri, psicoterapeuta e sessuologa ci dimostra come psiche e sessualità vengano attaccate e in che modo si può agire per stare bene. Il punto focale sta nel considerare la nascita del sintomo, “che avviene in una fase d’età in cui le giovani donne non hanno ancora gli strumenti per comprendere cosa sta accadendo, non conoscono ancora il proprio corpo e iniziano a scoprirlo attraverso il dolore”. Questa condizione insinua nella mente quello che in psicologia viene definito “dubbio”. Io inizio ad avere il dubbio che se quello che provo non è tangibile allora è insito nella mia testa. E’ un dolore non visibile, a tratti non misurabile e quindi “non comprensibile dall’esterno se non raccontato con la giusta narrazione”. Siamo portati a pensare che ciò che non tocchiamo con mano non esista e “la natura interna della vescica ci porta a non considerarla parte di noi perché non siamo in grado di vederla e quindi conoscerla”. È un dolore che se non trattato anche dal punto di vista psicologico potrebbe invadere ogni aspetto della vita a causa della sua natura cronica. La cronicità instaura la paura di non guarire mai, il terrore di dover convivere per sempre con qualcosa. Si può arrivare ad un eventuale isolamento e ritiro dalla vita sociale. Si può giungere a conseguenze negative anche sulla vita lavorativa in termini di assenza, scarsa concentrazione e senso di colpa nei confronti dei colleghi. La diagnosi va metabolizzata e per poterlo fare bisogna parlarne apertamente, con parenti, familiari, amici, partner ed esperti. Di CI invece si parla ancora poco o quasi per nulla, le informazioni che si reperiscono in internet spesso sono confuse e poco chiare, questo porta il paziente a non comprendere fino in fondo la portata della condizione medica, e allo stesso tempo la società è poco informata a riguardo.

Bisogna cambiare mentalità, “iniziando ad andare d’accordo con il nostro corpo anche quando ci manifesta un disagio perché quando ci separiamo da quell’organo diventa il nostro peggior nemico ed è lì che diventa un problema” ci riferisce Francesca Fulceri. Il segreto sta nel far dialogare le nostre parti del corpo, “ogni parte va ascoltata, accolta e compresa, anche quella che ci sembra difettata”. Se ce la prendiamo con una specifica area del nostro corpo trasformandola in una “zona nera”, siamo portate a sviluppare solo fastidio e rabbia. A sua volta “la rabbia gioca un ruolo fondamentale nel rafforzare la contrazione muscolare. In questo contesto se io mi arrabbio con la vescica, la zona genitale e il mio pavimento pelvico, non faccio altro che contrarre la zona genitale diffondendo il dolore”.

Il rischio maggiore è quello di identificarsi totalmente con quella parte, considerata danneggiata, e di conseguenza con la malattia stessa. “Se tutto ruota in funzione di quello, ti limiti. Devi sempre provare a fare ciò che vuoi fare, sperimenta, trova il modo. Non limitare il tuo pensiero creativo, perché il pensiero creativo genera altre soluzioni”. Ed è qui che entra in gioco la necessità di quello che la dottoressa Fulceri definisce “traghettatore”, ruolo che possiamo attribuire nel corso della nostra vita a chi vogliamo, ad un genitore, un parente, un’amica, la sorella. Sono necessarie però delle competenze tecniche che solo un esperto può fornire, perché è fondamentale diffondere una corretta informazione. Dove non arriva la famiglia dovrebbe essere compito della scuola, quello di formare e informare in modo chiaro e dettagliato anche riguardo tematiche come l’educazione sessuale e affettiva creando una vera e propria “cultura della sessualità”. L’obiettivo fondamentale deve essere quello di arrivare a dare un nome alle cose per non colpevolizzarsi e sentirsi difettate. “Se non ci si riesce da sole è consigliabile iniziare un percorso di terapia, e nel caso dei più giovani è utile la creazione di quelli che vengono chiamati gruppi di terapia”, spazi in grado di creare condivisione, per non sentirsi abbandonati ad un problema, pensando di essere gli unici.

“iniziando ad andare d’accordo con il nostro corpo anche quando ci manifesta un disagio perché quando ci separiamo da quell’organo diventa il nostro peggior nemico ed è lì che diventa un problema”
Francesca Fulceri, psicoterapeuta e sessuologa

Malattia vs Sessualità

La sessualità è una sfera delicata che a volte si trasforma in un argomento tabù. Se un rapporto sessuale crea dolore, la prima risposta sarà il rifiuto a quell’azione meccanica e il non volerne parlare. Questo avviene anche a causa di dogmi culturali e sociali ancora presenti. In passato il piacere della donna non era contemplato e la sessualità aveva come unico fine la procreazione. Con l’arrivo dei contracettivi negli anni 70, da un punto di vista culturale, riproduzione e piacere hanno iniziato a scindersi. Ad oggi è rimasta però ancora una cultura che possiamo definire “androcentrica”, dove il femminile viene meno. La dottoressa Francesca Fulceri ci tiene a sottolineare alcuni aspetti fondamentali da cui partire per cambiare modo di pensare. “Gino e Andro sono due mondi diversi che comunicando dovrebbero scoprirsi, scambiandosi gli aspetti che li contraddistinguono. Il femminile, portando con sé il tema della lentezza, in contrasto con quello maschile dell’immediatezza è una ricchezza da scoprire”.

Un grande tabù è dato dal raggiungimento dell’orgasmo. Uomini e donne sono anatomicamente diversi e lo sono anche le modalità con cui questo piacere può essere raggiunto. “La donna necessita di movimenti circolari e lenti” ma spesso si tende a sentirsi in qualche modo sbagliate se questo non avviene. “Il non raggiungimento dell’orgasmo attraverso la penetrazione viene visto male perché noi donne non ci autorizziamo a dire che esistono altri modi per provarlo, invece lo dobbiamo divulgare”.

L’atto sessuale deve essere visto come una forma di scoperta, di condivisione e piacere reciproco. La donna deve imparare ad aprire il muscolo durante la penetrazione e ad assecondare il rapporto imparando a muoversi per evitare i punti fastidiosi. Sdoganiamo il fatto che tutta la sessualità si limiti alla penetrazione perché la sessualità “non è standard”, esistono tantissime cose che si possono fare e sperimentare. La chiave sta nel sapersi e volersi conoscere e nel dialogo con l’altro. “Il punto che fa male deve essere disabilitato” comunicando cosa si prova, cosa piace e cosa non piace. La terapia insegna ad “autorizzarci”, per non sentirci mai in alcun modo difettate.